Ripartendo dalla riflessione che facevo nell'ultimo articolo del mio blog in cui parlavo dell’importanza dell’arte e del ruolo dell’artista in questo particolare momento storico, vorrei adesso cercare di ampliare il mio discorso e, se possibile, tirare le somme di questa mia riflessione. Per farlo, però, ho bisogno di scomodare un autore eccellente e a me molto caro come Franz Kafka e, in particolar modo, uno dei suoi racconti più lucidi e surreali: “Una relazione per un’Accademia” (tit. originale: Ein Bericht für eine Akademie). In questo racconto Kafka ci spiega abbastanza bene quale sia il rapporto tra arte e natura, artista e società.
Per cominciare, c’è da dire che il narratore è sicuramente un narratore sui generis. Come avviene spesso in Kafka, infatti, sono gli animali che parlano, che raccontano la propria storia. In questo caso si tratta di una scimmia, la quale si trova a raccontare gli ultimi avvenimenti della sua “antropomorfizzazione” ad un pubblico, non meglio identificato, di esperti: un’Accademia, appunto, come sottolinea anche il titolo. È quindi un resoconto, fatto nei minimi dettagli, degli ultimi anni della sua vita, a partire dalla cattura, che gli valse una cicatrice rossa sulla guancia e il nomignolo di “Pietro il Rosso”, fino al suo apprendistato da “umano” nella stiva di una nave e alla sua successiva consacrazione come artista di varietà.
Ciò che Kafka fa in questo racconto è di accostare in maniera del tutto originale e iperbolica la figura della scimmia con quella dell’artista, mettendo a confronto due identità che per loro stessa natura sembrerebbero inconciliabili. Ed è proprio qui che sta il genio e la forza dell’intuizione kafkiana. Egli comprende benissimo, infatti, che la figura dell’artista è forse quella che più di tutte conserva traccia del proprio “corpo-animale”. L’artista, infatti, che in Kafka ha spesso a che fare con il mondo del circo e del varietà, è colui che porta incisi sulla carne i segni della repressione, della violenza dell’uomo sull'uomo e della cultura sulla natura. È attraverso questa identificazione che kafka riesce a condensare in un racconto di una decina di pagine tutta la storia dell’evoluzione dell’uomo e della sua uscita dal mondo animale: “La mia natura di scimmia uscì da me, fuggendo in corsa frenetica, con una capriola, tanto che il mio maestro divenne egli stesso una scimmia […].”(in Kafka, “Racconti”, a cura di Ervino Pocar, ed. Oscar Mondadori, pag. 275).
Si potrebbe quasi dire che l’artista è l’ultimo baluardo di quel mondo animale perduto, che l’uomo e la sua cultura hanno soggiogato attraverso un processo di violenza e repressione, controbilanciandolo attraverso un ingegnoso sistema di ricompense e sostituzioni. Mentre la scimmia, pur di raggiungere una via d’uscita e salvarsi dal suo destino è costretta a farsi il più possibile simile all'uomo, imitandone i gesti e le abitudini, l’artista, invece, anela a quella libertà perduta del mondo delle scimmie, di cui però lo stesso protagonista della Bericht si fa beffe. A questo proposito è stupenda e struggente la descrizione che Kafka fa della libertà, vista appunto dalla prospettiva di una scimmia: “troppo spesso gli uomini s’ingannano tra di loro con la libertà. E, come la libertà si può contare tra i sentimenti più sublimi, anche la relativa illusione è tra le più sublimi. Ho spesso visto lavorare nei varietà, prima di entrare a mia volta in scena, una qualche coppia di acrobati, su in alto, al trapezio. Volteggiavano, si dondolavano, si gettavano di slancio l’uno nelle braccia dell’altro o uno reggeva l’altro per i capelli coi denti. Anche quella è la libertà degli uomini, pensavo, movimento degno di un essere libero. Oh irrisione della sacra natura! Nessun edificio reggerebbe alle sghignazzate del mondo delle scimmie dinanzi a quello spettacolo.” (in Kafka, “Racconti", pag. 270).
Nella sua estrema lucidità Kafka è consapevole che la libertà è la condizione tipica del mondo naturale, da cui però l’uomo, proprio perché sottomesso alle leggi della civiltà, si è ormai separato. L’unica possibilità che rimane alla scimmia di conservare un minimo di quella sua antica libertà è dunque quella di trovare una via d’uscita, non fosse altro che per quel desiderio che ciascun essere vivente ha di continuare a vivere: “No, non volevo la libertà. Soltanto una via d’uscita: a destra, a sinistra, purché fosse; non avevo altre esigenze; anche se la via d’uscita fosse risultata un’illusione; l’esigenza era così modesta, che l’illusione non poteva esser molto grande. Andar avanti, andar avanti! Ma non star fermo con le braccia levate, stretto alla parete di una cassa” (in Kafka, "Racconti", pag. 270, 271). E’ dunque proprio per questo primordiale istinto di sopravvivenza che la scimmia di Kafka è costretta a sottomettersi al “giogo” dell’evoluzione, ad uscire “fuori di natura”. Alla fine, però, l’unica strada che potrà effettivamente garantirgli quella via d’uscita tanto agognata sarà proprio l’arte. Divenire un artista, nel mondo kafkiano, non sembra tanto una libera scelta quanto un’esigenza innata, un destino: il destino di chi non ha mai avuto scelta se non quella tra continuare a vivere o non vivere affatto.
Per concludere, dunque, possiamo dire che Kafka, nel suo racconto, mette a nudo dei punti essenziali che stanno alla base della nostra riflessione sull'arte e sul ruolo dell’artista oggi. Primo fra tutti il legame indissolubile che sussiste tra l’arte e gli altri due suoi poli, cioè la civiltà e la natura. Se da un lato, infatti, l’arte è una diretta conseguenza della civiltà, a cui essa stessa si sottomette per poter in qualche modo continuare a sopravvivere, dall'altra parte essa non è altro che il tentativo di riavvicinarsi alla natura, cioè a quel mondo originario da cui l’uomo stesso e la sua cultura provengono. Tentativo che lo stesso Kafka descrive come impossibile, prendendosene addirittura gioco, ma pur sempre inevitabile, se la ricompensa, alla fine, è quella di sbloccare il movimento , rimettendo in circolo il desiderio e l'istinto alla vita.
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